Monica Catena traduce Pete Brown
Il set di birre che ho composto, grazie al supporto di Best of British Beer, per accompagnare il mio prossimo book club ha lo scopo di rappresentare il carattere volubile ed elusivo dello stile birrario preferito dal mondo artigianale.

Quello IPA è lo stile di birra artigianale più popolare, e il più controverso. Tutto ciò che lo riguarda, dalle sue origini incerte al suo colore, il suo carattere e il suo aspetto (sempre più torbido), dà vita ad appassionati dibattiti su social e pubblicazioni. La sua storia è stata mitizzata, fraintesa e ripetutamente ridefinita. Così come per il concetto più ampio di birra artigianale, ciò che mi affascina non è solo lo stile in sé, ma lo stesso fascino che suscita, i vari livelli di passione, nervosismo e sdegno che ispira.
Per questo motivo, per il mio terzo libro, mi sono assunto l’impegno, francamente stupido, di ripercorrere il viaggio leggendario che percorreva via mare da Burton-on-Trent a Calcutta. Questo progetto mi ha spezzato, sotto vari punti di vista, ma ne è uscito un gran bel libro del quale parleremo al mio terzo Beer Book Club che si terrà mercoledì 12 maggio.
Per ciascuno di questi book club, cerco di organizzare un set di birre a tema (o di sidro, quando è pertinente) che i partecipanti possono decidere di consumare durante l’incontro. Best of British Beer si è offerta di darmi una mano in questa occasione e mi ha inviato una bottiglia di ciascuna birra a loro disposizione che presentasse l’indicazione “IPA” in etichetta. Tra queste, ho selezionato sei birre che raccontano a grandi linee la storia della birra che veniva chiamata “India Pale Ale”: sono birre piuttosto diverse tra loro, ma, ciascuna a modo suo, tutte eccellenti.
La IPA non è mai stata “inventata” come tale, ma si è evoluta da birre forti destinate alla conservazione e da allora ha continuato ad evolvere. Stando ai report contemporanei, nel 1780 era piuttosto scura, torbida e molto amara. Nell’India del diciannovesimo secolo era limpida e frizzante, la cosa più simile allo champagne che ci fosse. Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo, l’alcolicità è calata fortemente a causa di variazioni nella tassazione e nelle abitudini di consumo. Qualche anno fa, i geek della birra sostenevano con veemenza che una birra come la Greene King IPA non potesse essere considerata propriamente una IPA, perché aveva una gradazione del solo 3,6%. Quei critici dovrebbero sapere che alcuni anni fa è stata scoperta la ricetta originale della Greene King IPA del 1928 e, in quasi un secolo di vita, non è cambiata quasi per niente. Inoltre, se poteste tornare alla metà del ventesimo secolo, qualsiasi birraio britannico vi direbbe che quella ricetta era in linea con ciò che la “IPA” era in quel momento. Ad ogni modo, l’ascesa delle “session IPA” implica che l’argomentazione dell’alcolicità non trovi più una sua coerenza.
La reinvenzione americana dell’IPA ha realmente preso piede nel Regno Unito solamente da poco più di un decennio e, da allora, l’evoluzione dello stile ha visto una fortissima accelerazione. Alcuni considerano quella che oggi chiamiamo “West Coast IPA” come una IPA vecchio stile: se uno stile birrario che vede le sue origini negli anni ’90 è oggi “vecchio stile”, come dovremmo considerare la storia bicentenaria dell’IPA fino a quella data?
È altamente significativo che lo stile dominante del momento, lo stile New England IPA, sia l’opposto di ciò che era prima una IPA. L’India Pale Ale si affermò nel diciannovesimo secolo, e influenzò quello successivo, perché era pensata per essere conservata e/o per resistere a un lungo viaggio in mare durante il quale era soggetta a importanti variazioni di temperatura che contribuivano al suo carattere unico, dalla decisa amaricatura del luppolo.
Oggi l’amaricatura nelle IPA quasi non è percepibile e ci viene detto che dobbiamo tenerle a basse temperature dal confezionamento al consumo e berle fresche perché il loro carattere delicato scompare dopo poche settimane.
I soldati e gli impiegati britannici che bevevano IPA a Calcutta nel 1860 avrebbero sputato una NEIPA sostenendo che fosse troppo acerba, che non fosse “matura”, mentre il fan moderno della NEIPA considererebbe (e spesso lo fa) la IPA tradizionale come qualcosa che non è affatto IPA, perché non è abbastanza chiara e succosa.
Il Beer Judge Certification Program (BJCP), comunemente considerato nel mondo della birra artigianale come l’arbitro degli stili, si spinge a dichiarare che “il termine IPA intenzionalmente non viene letto come India Pale Ale dal momento che nessuna di queste birre è mai storicamente stata spedita in India e molte non sono ‘pale’, ovvero chiare”.
Ecco qua: il termine IPA, in realtà, non ha niente a che vedere con l’espressione India Pale Ale, ma è un acronimo senza fonte o forse proprio una nuova parola, una parola che spesso i consumatori che non sono di madrelingua inglese pronunciano “ipa”, invece che “ai-pi-ei”.
Nel 2014, lo scrittore canadese di birra Stephen Beaumont alzò le mani e disse: “Bene, ammettiamolo, ogni birra ora è una IPA”. Con questo in mente, ecco le sei birre che ho scelto, tutte in diritto di essere considerate IPA. Mi piacciono tutte, altrimenti non le avrei scelte, ma data la mia età e la mia esperienza, il mio cuore apparterrà sempre al vecchio stile.
Wold Top – Scarborough Fair. Fedele allo stile tradizionale britannico: limpida, amara e bilanciata.
Hafod – Freestyle. Un ottimo esempio di quella che oggi chiamiamo West Coast IPA: aroma di resina e pino con una solida base maltata.
Mor – Ish. Riprende lo stile della metà del XX secolo: pulita e delicatamente amara, con una bassa gradazione alcolica.
Windsor & Eton – Conqueror. Tautologicamente, una Black India Pale Ale: una miscela di freschi aromi luppolati e malto dall’intenso sapore di cioccolato.
Loch Lomond – Zoom Time. Perfetto esempio di stile New England IPA: torbida, succosa e poco amara.
Stonehouse – Vanilla Milkshake. Brassata con vaniglia e lattosio per una maggiore sensazione di cremosità: è questo il futuro dell’IPA?
Testo originale:
Autore: Pete Brown
Data di pubblicazione: 7 maggio 2021