Come ho contribuito a brassare una gose nera nei vicoli di Shenzhen

Come ho contribuito a brassare una gose nera nei vicoli di Shenzhen

Monica Catena traduce Martyn Cornell

La birra può condurti in luoghi strani e inaspettati. Domenica mi trovavo tra i vicoli umidi di Baishizou, un quartiere vagamente losco di Shenzhen, nella Cina meridionale, a fare visita a un microbirrificio angusto e non necessariamente del tutto legale situato al piano terra di un edificio piuttosto fatiscente di appartamenti. La mia missione: aiutare il proprietario del birrificio, un ex militare statunitense di nome Joe Finkenbinder, e un altro birraio, Dave Byrn del birrificio Pasteur Street di Saigon, a produrre la prima birra mai nata da una collaborazione sino-vietnamita, una gose nera chiamata Disputed Waters.

badge da giudice all'HK Beer Championship 2016 di Martyn Cornell
Sono l’onorevole Martyn Cornell, è ufficiale

La causa del mio viaggio a Shenzhen, una città che è esplosa passando da essere quasi disabitata ad avere 11 milioni di abitanti in soli 30 anni, è stata un invito nella vicina e meridionale Hong Kong come “onorevole giudice” (è quello che riporta il mio badge) nel primo concorso mai tenutosi riservato ai birrifici commerciali di Hong Kong. Quando lavoravo a Hong Kong, nel 2011, ho dato una mano a promuovere il primo beer festival della città e l’organizzatore del festival, Jonathan So, è diventato un mio amico. All’epoca c’erano solamente due microbirrifici in città e uno dei due chiuse poco tempo dopo, così che quando lasciai Hong Kong nel 2013 ce n’era rimasto solo uno.

Da allora, il numero di birrifici nell’ex possedimento britannico è decollato come i razzi che i cinesi costruiscono da 800 anni: dieci entro la fine del 2015 e poi il doppio, venti, ad oggi. Quindi, quando Jonathan mi ha scritto per chiedermi se volessi essere un giudice del primo Hong Kong Beer Championship, realizzato nell’ambito del quinto beer festival della città, sono andato dritto su Expedia a controllare gli orari dei voli, contento di avere l’opportunità di assaggiare finalmente la birra prodotta da tutti quei mascalzoni che avevano aspettato crudelmente che me fossi andato dalla città e fossi tornato a Londra (dove, in mia assenza, la nuova scena dei piccoli birrifici era lo stesso esplosa) per iniziare a produrre birra a livello commerciale.

In seguito, Joe Finkenbinder, anche lui uno dei giudici, mi ha scritto per chiedermi se mi andasse di attraversare il confine con la Cina per visitare il suo impianto brassicolo, realizzato anche questo appena due anni prima, e partecipare a una collaboration brew con Dave Byrn. Quando hai già viaggiato per 10.000 km, un paio in più sono irrilevanti e ad ogni modo: quante possibilità ci sono che mi si ripresenti la rara opportunità di visitare un microbirrificio cinese?

Panorama di Shenzhen
La vista dal fondo della strada in cui è situata la tap room di Joe. I lettori inglesi conosceranno la sezione animata della sigla iniziale del programma satirico Have I Got News For You, in cui una scena mostra un ragazzo cinese in una risaia sorpreso dall’improvvisa apparizione di grattacieli attorno a lui. Fa un sorriso e un pollice in su, poi inizia a tossire violentemente a causa dell’inquinamento dilagante. Ecco la storia di Shenzhen

Trovare il birrificio di Joe, che si chiama BionicBrew, è stato di per sé un’avventura. Avevo scaricato e stampato una cartina prima di lasciare Hong Kong e il gentile staff del mio hotel ad Aberdeen, a sud dell’isola, vi aveva scritto sopra indicazioni in cinese. Nonostante questo, l’autista del taxi che avevo preso al valico di confine di Huanggang (dopo che mi erano stati soffiati 304 yuan, circa 28 euro, per un visto di un giorno) si è perso completamente, affacciandosi fuori dal finestrino per urlare domande ai netturbini dai grandi cappelli conici e ai custodi nelle guardiole: non c’era bisogno di parlare putonghua per capire le loro risposte, chiaramente variazioni di “mai sentito nominare, amico”. Alla fine, gli è venuto in mente di copiare l’indirizzo sul suo cellulare e di cercarlo nella versione cinese di Google Maps. Dopo cinque minuti di navigatore satellitare mi trovavo fuori dal taxi, sulla strada in cui si trovava la tap room di BionicBrew.

Logo BionicBrew

Salvo che non era vero, in realtà mi trovavo nella strada accanto. Ma Sant’Arnoldo vegliava su di me: nel minibus che mi aveva portato da Hong Kong alla frontiera, avevo incontrato un americano che insegna ai neolaureati in scienze dell’università di Shenzhen come scrivere le loro tesi e richieste di dottorato in un buon inglese scientifico. Conosceva il birrificio, aveva partecipato al suo beer festival due settimane prima, e mi aveva detto che la tap room si trovava in una via pedonale fiancheggiata da ristoranti. Questa descrizione palesemente non si applicava al vicolo in cui mi trovavo in quel momento, ma una volta girato l’angolo ho trovato la mia meta. Ma non Joe: la saracinesca del bar era chiusa. Non aveva ricevuto i miei messaggi con i quali lo avvisavo di essere arrivato a Shenzhen. Eppure, il bicchiere può anche essere mezzo pieno: mentre lo aspettavo nella calura di Guangdong, ho fatto due passi nella via principale e ho trovato un supermercato che vendeva, per mia gioia, birra Snow. Non che la Snow sia così deliziosa, è una blanda lager chiaro paglierino, ma è la birra più venduta in Cina, e quindi nel mondo, e io non l’avevo mai bevuta dal momento che a Hong Kong non si trova. È una vanteria bizzarra, lo so, ma io ho bevuto la birra più popolare del pianeta e scommetto che voi non l’avete fatto.

Dave Byrn del birrificio Pasteur Street, Saigon
Dave Byrn del birrificio Pasteur Street, Saigon

Quando sono tornato al bar era arrivato Dave Byrn con il sales manager del suo birrificio Pasteur Street, Mischa Smith, un ex barista robusto e sorridente proveniente dall’Ontario, passando per il Sud Corea. Dave, proveniente dal Cigar City Brewing in Florida, sembra proprio la fotografia che si potrebbe trovare in un dizionario illustrato alla voce “birraio artigianale americano”: grosso, muscoloso, con la barba folta e la testa rasata. Avevo bevuto appena un sorso della mia Snow quando è arrivato Joe accompagnato dal suo birraio, un russo magro, biondo e simpatico di nome Dmitrii Gribov (Mitch per gli amici), della città di Perm, negli Urali. Abbiamo trascinato un tavolo a cavalletti che si trovava all’esterno del bar all’ombra, al centro della strada, e dal bar di Joe è arrivata una grande brocca di un’eccellente pale ale americana. Mentre i bambini del posto ci correvano intorno giocando a palla e ignorando il gruppo internazionale di stranieri (o gweilos, come li chiamano loro), abbiamo parlato dei problemi e delle promesse del settore dei microbirrifici asiatici (il più grande ostacolo: trovare i locali adatti; la più grande opportunità: la crescente richiesta di birra artigianale da parte di consumatori orientali sempre più benestanti); di come la rapida crescita di Shenzhen significhi che costantemente vengano abbattuti edifici per tirarne su, al loro posto, di nuovi e più alti (appena dall’altra parte della strada di Joe c’era un largo spazio aperto nel quale, ci ha detto, un edificio grande e non particolarmente vecchio si ergeva fino al mese prima, quando era stato demolito per fare spazio a qualcosa di nuovo: in lontananza, tra la foschia di smog, si vedevano altri edifici elevarsi verso il cielo, ognuno con le sue gru); e del motivo perché ci fosse un brewpub chiamato Peko giusto a fianco al bar di BionicBrew (Joe in realtà ha deciso che l’intero locale che stava affittando era troppo grande per l’uso che ne fa e subaffitta lo spazio al Peko).

Joe Finkenbinder di BionicBrew
Joe fuori dall’ingresso del birrificio:
quello a sinistra è il “carro” del birrificio.

Un’altra brocca di eccellente birra dopo era il momento di percorrere la breve distanza fino al birrificio. Si tratta probabilmente dello stabilimento brassicolo più strano nel quale sia mai stato: due appartamenti adiacenti al piano terra di un edificio alto e piuttosto fatiscente di abitazioni, nel mezzo di un’area residenziale. Quando il proprietario del locale ha mostrato il posto a Joe per la prima volta, ci vivevano ancora delle famiglie. Incredibilmente, agli altri abitanti non sembra dare fastidio il fatto di avere un birrificio nel mezzo del loro palazzo, sebbene, a quanto pare, all’inizio ci sono state alcune lamentele riguardo all’odore dei luppoli, con grande sorpresa di Joe: ”È l’odore migliore che c’è!”, ha detto. Lo spazio è angusto, ma Joe e il suo team producono birre formidabili con un mix di kit fatti in casa e prodotti in Cina. 

Joe Finkenbinder alla “brewhouse” BionicBrew
Joe Finkenbinder alla “brewhouse” BionicBrew (brewflat?)
Dmitrii Gribov all’interno del birrificio BionicBrew
Dmitrii Gribov all’interno del birrificio BionicBrew
Prugne nere, anche chiamate 
wu mei, Prunus mume
Prugne nere, anche chiamate
wu mei, Prunus mume
Semi di sesamo nero
Semi di sesamo nero

Il nome della collaboration beer che stavamo producendo era un riferimento alla disputa tra Vietnam e Cina in merito alle isole Paracelso e alle isole Spratly, nel mar Cinese Meridionale, che vide entrambi i paesi reclamare la proprietà dei due arcipelaghi. Dal momento che le isole si trovano in mezzo al mare salato, Disputed Waters (letteralmente “Acque Contestate”) doveva necessariamente essere una birra salata, una gose: il grande contributo di Lipsia al mondo degli stili birrari. E dal momento che ci si trovava in Asia orientale, doveva necessariamente utilizzare ingredienti asiatici, oltre al luppolo e al malto di grano e orzo. Ma non solo: questa era una gose nera, il che avrebbe inevitabilmente sollevato delle contestazioni (l’avete capita?), quindi per mantenere il due per cento di malto Melanoidin, anche gli ingredienti aggiuntivi erano neri: semi di sesamo nero, salsa di soia nera, per la sapidità e il sapore, e prugne nere disidratate, che credo fossero wu mei, anche note come prugne cinesi, Prunus mume, utilizzate nella medicina cinese e dal sapore aspro e acidulo Ti Huang, o Digitalis, Rehmannia glutinosa, le cui radici agro-dolci, che assomigliano a prugne secche, sono utilizzate come tonico del sangue. (Ci sarebbe dovuto anche essere del sale marino vietnamita nel composto, ma ops.., il ragazzo di Ho Chi Minh City lo aveva dimenticato…)

Dmitrii e Martyn Cornell brassano insieme
Dmitrii mescola mentre io fingo di essere un vero birraio e aggiungo dei cereali

Ma ahimè, come Cenerentola, non avevo molto tempo: entro la fine della giornata la mia carrozza fatta di zucca, sotto forma di un Virgin Atlantic Boeing 787, sarebbe decollata dall’aeroporto di Hong Kong per volare fino a Londra, dove sarei dovuto andare a lavorare il giorno successivo. Per evitare possibili ritardi dovuti al traffico di Shenzhen e alla frontiera, sono dovuto partire presto e ho avuto giusto il tempo di versare del malto nel tino di ammostamento e poter quindi dichiarare di aver collaborato anch’io alla produzione. Purtroppo, non c’è stato altro tempo per tornare al bar di Joe per godere di ulteriori birre e conversazioni sulla birrificazione. Se leggete questo articolo tra qualche settimana e avete bevuto una Disputed Waters, lasciate un commento sul suo sapore.

Voglio ringraziare Joe e il suo team per la loro meravigliosa cortesia e ospitalità che non avrebbero potuto essere migliori (così come le birre) e voglio ringraziare davvero molto anche Jonathan So per avermi invitato a tornare a Hong Kong e avermi fornito un alloggio gratuito. Se vi trovate a Shenzhen, o anche a Hong Kong, andate a visitare la tap room di BionicBrew, non ve ne pentirete.

Testo originale:

How I helped brew a black gose in the backstreets of Shenzhen

Autore: Martyn Cornell

Data di pubblicazione: 22 novembre 2016

Traduzione di Monica Catena

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